Lupo ha ben ricostruito le nostre lotte contro la selezione e il loro senso politico. Io credo che comunque quelle lotte abbiano lasciato un segno positivo nell’organizzazione della didattica universitaria, anche se nel tempo il loro significato si sia perso nel tempo. Sono state quelle tutto sommato modeste conquiste a determinare il progressivo degrado delle università italiane ? Non credo ma ancora oggi nel senso comune, oltre che nella propaganda del centro destra, la crisi del’università e della scuola nascono da li. Il manifesto ideologico della Gelmini e dei suoi epigoni, è tutto centrato contro il ‘68 . il ritorno ai voti, alla condotta, il richiamo alla scuola dei bei tempi sarebbero la cura per ritornare alla meritocrazia, alla valutazione e quindi alla selezione. In realtà tutti ignorano che la selezione sia nella scuola che nell’università c’è ed è pesante. Basta aver insegnato in un itis o in un professionale per sapere che nel biennio i livelli di selezione , nonostante la disponibilità in generale degli insegnanti, sono elevati. Così come all’Università: non ho sottomano le statistiche, ma su 100 che iniziano finiscono nei tempi giusti forse 30 se non di meno. E qui veniamo al dunque: se si guarda la composizione socio culturale dei selezionati emerge il dato che rende forse l’Italia particolare e in questo praticamente uguale ai nostri tempi: la probabilità che un figlio di operai arrivi alla laurea sono molto più basse di quelle di un figlio di laureati. Insomma i meccanismi di selezione di merito si saranno allentati ma quelli di classe, rimangono intatti. e quindi la questione da cui anche noi siamo partiti è ancora li. Anzi, chi ha insegnato lo sa bene, ha assunto caratteri ancora più pesanti perché se ai nostri tempi le classi sociali inferiori erano animate, e noi con loro, da un forte bisogno di miglioramento socio culturale, le classi deboli di oggi, ancorchè spesso con redditi medio alti, non vedono nella scuola e in generale nella cultura, lo strumento per una elevazione sociale . Da qui i richiami, interpretati in senso regressivo dalla destra, in senso velleitario dalla sinistra, di un passaggio ad una nuova scuola. Per la destra questo significa semplicemente ordine e disciplina, indifferente alla nuova didattica, alla psicosociologia di sostegno, tanto invocata in molte scuole. La sinistra cerca impossibili scorciatoie, l’obbligo a 18 anni, proponendo modelli educativi, vedi Berlinguer, tanto avanzati da diventare impraticabili. E noi che abbiamo resistito e quelli che ancora resistono, stretti tra una realtà educativa sempre più difficile, combattuti tra un ricorso, spesso inevitabile, a comportamenti educativi repressivi e una realtà sociale che necessiterebbe una disponibilità di risorse umane e economiche inesistenti .Quindi che fare, quale modello , non per rendere la scuola più facile, ma per fare una didattica che sia comprensibile, abbordabile , per dare a tutti, a questo dovrebbe servire la scuola pubblica le stesse opportunità. Ci abbiamo combattuto tutti, almeno chi ha fatto l’insegnante, cercando di riproporre modelli e contenuti che alla fine venivano sempre da li , dalla nostra storia politica e studentesca. Poi il degrado ci ha progressivamente spinti all’indietro, nelle speranze per il futuro e nei comportamenti quotidiani, nell’indifferenza della società anche di quelli come noi che intanto il merito, quello conquistato con la laurea, anche se del ’68, la mettevano a frutto nell’industria. Per questo credo che quei punti, riproposti in tante mozioni mescolati velleitariamente agli slogan dell’epoca, forse un qualche valore ce l’hanno ancora.